Quando lei entra nel mio studio, ho davanti una ragazza vestita con buon gusto, ordinatamente pettinata, dal viso dolce e delicato. Non so ancora perché, ma ho l’impressione di avere a che fare con una bambina. Viene accompagnata dalla madre e mi chiede di iniziare la seduta con lei presente.
Aurora (nome di fantasia) è una ventenne, studentessa alla facoltà di Scienze Politiche, fidanzata, ultima di quattro figli tutti ormai lavorativamente molto ben sistemati, vive con i genitori.
Il motivo per cui chiede il consulto è una difficoltà a sostenere gli esami all’università, che è diventata sempre più forte tanto da determinare una vera e propria battuta d’arresto del percorso di studi. Le chiedo in che modo vive questa difficoltà, come si manifesta e cosa prova, e Aurora descrive attacchi di ansia caratterizzati da preoccupazione per l’esame, difficoltà a dormire, incubi notturni, uniti a sintomi somatici quali palpitazioni, affanno, capogiri, sensazione di immobilità quando si trova in sede d’esame. Mi racconta anche che l’unico modo che in definitiva ha trovato per evitare queste sensazioni spiacevoli è quello di non sostenere i test, giustificandosi con i sintomi che diventano qui sia il problema sia la via d’uscita, la causa e la scusa allo stesso tempo. “Io ci provo ogni volta, studio tanto, sono sicura sarei la migliore! Ma poi quando sono li pensieri negativi mi vengono in mente, mi fanno stare malissimo e alla fine rinuncio, torno sui miei passi.”
Le chiedo quindi di quali pensieri si tratta e cerchiamo insieme di capire quando si sono instaurati nella sua mente, quali sono le emozioni che prova nei confronti di questi pensieri e come hanno modificato la visione di sé stessa e delle cose. “Non sono in grado di superare quest’esame.” “Farò una figuraccia con il professore.” “Mi darà un voto che non potrò accettare, e dovrò dirlo alla mia famiglia.” “Provo un sentimento di impotenza, come se non fossi in grado di prendere in mano la situazione. La sicurezza che provavo durante la preparazione, svanisce in un secondo. E se avessi studiato così tanto, ma non raggiungessi il massimo punteggio?”
Percepisco subito che Aurora vive in funzione di aspettative che probabilmente non sono le sue, sente molto il peso del giudizio soprattutto della famiglia e del fidanzato per cui ritiene di dover essere sempre perfetta. Vive con i fratelli e sorelle maggiori un costante confronto che trapela da frasette e piccole battute che le vengono rivolte; dal fidanzato si sente realmente apprezzata solo quando incarna i suoi gusti. Riaffiora dentro di me ancora una volta, il volto di una bambina che con gli occhi grandi cerca l’approvazione di mamma e papà, che prova ad essere brava ed ubbidiente per avere anche lei la sua razione di carezze e affetto che i fratelli e sorelle più grandi hanno già ottenuto e che si affanna ad essere ciò che gli altri si aspettano che sia pur di conquistare attenzione e amore. Emerge quindi un racconto del suo essere in famiglia secondo cui lei si sentiva realmente l’ultima arrivata e a volte neanche pienamente voluta e, pertanto, la sua parte richiedente e infantile entra in conflitto con la sua parte adulta e potenzialmente autonoma.
Il corpo di Aurora è un corpo minuto, come fosse bloccato in un’età precedente, gli occhi estremamente espressivi, le labbra carnose mi ricordano il bisogno di cure di un lattante, le braccia lunghe e prive di carica mi rievocano la rincorsa dietro mille abbracci mancati.
È stato quasi catartico per Aurora riscoprire il proprio carattere osservando il suo corpo, riconoscere le sue maschere che come trappole impediscono la sua crescita, e rinascere nel qui ed ora. È stato fondamentale lavorare sul corpo per accogliere prima e gestire poi i sintomi dell’ansia, con l’obiettivo ultimo e condiviso, di riuscire a far emergere il vero sé, i punti di forza da usare a favore dell’Io, comprendere la propria resilienza abbandonando strategie poco utili per altre più adattive e riscoprire le proprie ambizioni.
Con il tempo i piedi di Aurora sono diventati saldi come radici e quando ciò è accaduto la sua personalità ha iniziato a crescere e ad espandersi come le fronde di un albero che attinge spazio e nutrimento da un terreno fertile, soprattutto ha cominciato ad essere sé stessa anche a costo di non piacere a tutti.
Il percorso di Aurora è stato commovente e non privo di difficoltà. Altre dinamiche familiari e legate all’attaccamento caratterizzano la vita psico-affettiva di Aurora, e prenderle tutte in esame è stato talvolta doloroso. La paura è stata l’emozione che ha fatto da sfondo costante a gran parte del trattamento. Ci è voluta molta delicatezza per far sentire Aurora in un ambiente accogliente dove lavorare, un clima di fiducia a favore dell’alleanza terapeutica e soprattutto l’assenza di ogni tipo di giudizio al quale Aurora è sempre stata suscettibile, cercando spesso la mia approvazione o la mia opinione su ciò che mi raccontava, alla continua ricerca di conferme “è giusto come la penso io?” “Ho fatto bene?”.
Mi piace ricordarmi di lei con una frase che le sfuggì durante una seduta, quasi a tradimento, da un pianto, tra un singhiozzo e l’altro, tra tristezza e rabbia: “A me Scienze Politiche neanche piace!”
Che sia stato questo il momento in cui ha deciso di tracciare da sé la sua strada?